L’altra sera ho visto il bellissimo film biografico di Adam McKay Vice – L’uomo nell’ombra, che racconta la storia personale e politica di Dick Cheney – impersonato da un incredibile Christian Bale, ingrassato di 20 chili e in odore di Oscar -, il più giovane Capo di Gabinetto della Casa Bianca, poi Segretario alla Difesa e infine, nel 2000, vicepresidente degli Stati Uniti nell’era di George W. Bush.
Cheney rappresenta il volto nascosto del potere, quello che lavora nell’ombra appunto, in silenzio, facendo della pazienza, della perseveranza e della diplomazia le sue armi migliori. In questo viene spinto e sostenuto costantemente dalla moglie Lynne, se possibile ancora più ambiziosa di lui, ben consapevole di aver bisogno del marito per realizzare i suoi sogni, che le sarebbero altrimenti preclusi in quanto donna.
Il film ci mostra un Cheney padre di famiglia presente e amorevole, anche quando la figlia Mary gli confessa la sua omosessualità, dedito nel tempo libero alla sua grande passione, la pesca (anche qui la pazienza…), e in parallelo profondamente coinvolto negli infernali meccanismi politici che portarono, tra l’altro, l’amministrazione Bush a dichiarare guerra all’Iraq sulla base di dati falsi, contribuendo indirettamente alla nascita dell’Isis e alla normalizzazione della tortura (scherzando, qualcuno ha detto che Cheney potrebbe aver fatto opera di ghostwriting nella serie della Fox Tv 24, che sdogana apertamente la tortura in nome della sicurezza nazionale).
McKay fa uso abbondante di espedienti cinematografici che scardinano il normale flusso del racconto e spiazzano lo spettatore, sorprendendolo perfino dopo i titoli di coda: dialoghi e ritmi serrati, l’uso di un montaggio di tipo concettuale che crea cortocircuiti ora comici ora drammatici, l’uso di una voce fuori campo il cui senso si rivelerà solo alla fine, creano una veste formale assolutamente originale e imprevedibile. Da non perdere.